Dopo
l'epidemia del 1837, i patrioti siciliani di Palermo e
Messina ripresero a organizzarsi, intanto Ferdinando II
continuava a negare le riforme ed il progresso che tutti
chiedevano.
All'alba
del 3 giugno 1847, nel giorno della festa cittadina della
Madonna della Lettera, la statua di bronzo del re, che era
in piazza Duomo (oggi in via Garibaldi), appariva con le
orecchie tappate da bambagia e con la benda agli occhi,
satira pungente che fece il giro dell'Italia.
A Napoli
fu stabilito un accordo tra le rappresentanze progressiste
di Sicilia e Calabria nel Maggio 1847.
Con
questo accordo si preparava una rivolta che doveva scoppiare
simultaneamente a Messina e Reggio.
Molti
messinesi lavorarono alacremente per preparare
l'insurrezione fissata per il 2 Settembre.
Tutti i
preparativi procedevano con grande attenzione per evitare le
spie della polizia borbonica.
Il
controllo governativo era concentrato su Palermo e Napoli,
questo favorì l'organizzazione.
Si era
saputo che Mercoledì 1° Settembre gli ufficiali del presidio
di Messina davano un banchetto all'albergo Vittoria in
omaggio al generale Lualdi, di recente promosso maresciallo.
I Messinesi avevano l'occasione clamorosa di catturare tutto
lo stato maggiore borbonico in un colpo solo, decisero di
insorgere il giorno prima.
Il 1°
Settembre alle ore sei del pomeriggio 5 gruppi partirono da
diversi punti della città chiamando alle armi tutti i
cittadini.
Gli
ufficiali, avvertiti tempestivamente della rivolta, erano
scappati per rifugiarsi nei quartieri militari e nelle
fortezze.
Dalla
marina alla salita del forte dell'Andria i soldati non
resistettero a lungo. Molti posti doganali furono presi
d'assalto e i soldati travolti dai Messinesi. Fu una lotta
impari contro soldati che accorrevano continuamente. Verso
le otto il numero enorme dei soldati borboni accorsi
prevaricò i gruppi dei rivoltosi che si ritirarono. Questa
fu la prima rivoluzione in Sicilia che porterà , dopo quella
di Palermo nel Gennaio 1848, alla costituzione della
Repubblica Siciliana con la presidenza di Ruggero Settimo.
Gli
insorti trovarono riparo e ospitalità sui colli della città,
il generale Lualdi invitava i cittadini a denunciare gli
insorti, e che potevano essere uccisi da qualsiasi persona
con una taglia di 300 ducati per ogni ribelle ucciso e 1.000
ducati per ogni ribelle catturato.
Nessuno
fece denuncia, i ricercati uscirono salvi dalla Sicilia per
trovare riparo fuori in attesa di rientrare. I governanti
borboni volevano dimostrare all'Europa che i moti di Messina
erano opera di un pochi pazzi. Fecero firmare un documento
al Senato cittadino ove si ammettesse questo versione. Tale
delibera suscitò lo sdegno di tutta la cittadinanza, che si
trasformò in una protesta che fu divulgata con dei
manoscritti distribuiti in tutta la Sicilia e spediti ai
Governi degli altri Paesi. I borboni fecero anche coniare
una medaglia con le scritte; Messina 1° Settembre e Fedeltà
(sul fronte) con cui decorarono tutti i soldati e marinai
che erano a Messina quel giorno.
Allo
sdegno pubblico il governo sovrapponeva altra offesa e
insisteva con questa nuova provocazione e plateale
premiazione.
Il 12
Gennaio 1848 Palermo insorgeva, dopo giorni di
combattimenti, cacciava dalla città i borbonici e costituiva
un Governo Provvisorio del Popolo Siciliano. Il Governo
nemico corse subito ai ripari a Messina, considerata
fondamentale per il controllo militare della Sicilia,
facendo schierare tutte le forze militari presenti in Città
sulla Via Ferdinandea (oggi via 1° Settembre 1847). Il
Popolo messinese cominciò a inveire urla e insulti contro i
soldati che temevono di essere assaliti dalla moltitudine di
popolo inferocita, il generale impauritosi (spagnatosi) fu
costretto a ordinare una ritirata frettolosa e disordinata
che somigliava ad una fuga.
Il 28
gennaio un comitato di 300 cittadini pubblicò un proclama:
"all'armi ai messinesi! ecco il giorno tanto sospirato!
Siete tutti ormai armati e organizzati. Messina che diè
prima il segno dell'insurrezione finisce in questo giorno la
grande Rivoluzione Siciliana, trionfante per opera
dell'immortale Palermo. Pronti alla difesa, pronti al fuoco,
se una mano di capi pazzi e venduti, un armento di ciechi
soldati, che son trascinati come vittime al macello,
tenteranno di turbare la gioia cittadina del trionfo
siciliano". Il Popolo messinese combatteva e vinceva,
resistendo all'esercito borbonico. Il 29 gennaio 1848 i
messinesi scesero in piazza. I soldati sparavano sulla città
dai forti. Alle 23.00 entrarono in Città i soldati del
generale Filangieri, fu una battaglia feroce soldati contro
cittadini. I reparti sconfitti si ritirarono scappando nel
campo d'armi di Terranova (dove adesso c'è la stazione
ferroviaria). I combattimenti durarono molti giorni a
Messina. Il 30 gennaio si arresero i soldati del forte di
Rocca Guelfonia (oggi Cristo re), il 1° febbraio Forte
Gonzaga, il 22 Porta Realbasso. A Palermo intanto si era
riunito il Parlamento di Sicilia e costituito il governo con
presidente Ruggero Settimo. Il nuovo governo siciliano, per
compensare i gravi scontri e danni che aveva sopportato la
città Messina, decise di risarcirla adeguatamente.
Il 31
Marzo 1848 i messinesi Giuseppe Natoli e Giuseppe La Farina,
presentarono questa mozione alla Camera dei Comuni
"restituzione a Messina del PORTO FRANCO che aveva dal 1784
e che fu tolto con frode e violenza da quelli che oggi la
bombardano". La mozione fu approvata dalle due Camere con
voto unanime e salutata dai rappresentanti al grido di "Viva
la Sicilia, viva Messina".
Il 3
settembre 24.000 soldati partiti da Reggio sbarcarono a
Contesse (a sud di Messina) mentre dalla Cittadella
fortificata nel porto (oggi stazione traghetti FS) e dal
forte del Salvatore (oggi sovrastato dalla Madonnina del
porto) partivano centinaia di colpi di cannone sulla città.
Molti degli edifici e dei monumenti più belli furono
distrutti. Il bombardamento produsse un incendio che
completò la distruzione. Il fuoco dei cannoni di tre fregate
a vela, otto navi da guerra a vapore, cinque battelli, venti
cannoniere, e quaranta altre navi si riversarono sulla sola
città di Messina. Il bombardamento degli edifici fu
assurdamente feroce e inutile.
I
messinesi accorsero da ogni parte contro i soldati che
avanzavano da Contesse facendo strage di donne bambini e
vecchi che si trovavano nelle case, poi sistematicamente
incendiate.
I
giovani volontari detti CAMICIOTTI si difesero da dentro il
Convento della Maddalena, sparando dalle finestre sui
soldati. Circondato il convento i borbonici aprono un varco
a cannonate e dal muro di cinta e dal cancello del giardino
riversandosi all'interno, dove si trovavano solo due
compagnie del 10° battaglione siciliano. Anche i monaci
combatterono insieme ai "CAMICIOTTI", questi ultimi furono
circondati nel cortile del Convento , invece di arrendersi
si lanciarono nel pozzo che si trovava nel centro del
cortile, precipitando verso la morte. La Città di Messina li
ricorda con una via centrale proprio dove era il Convento,
adesso sede della Casa dello Studente. Dopo 5 giorni di
grandiosa difesa, Messina cadeva l'8 Settembre 1848. La
repressione fu spaventosa e crudele da far inorridire il
mondo intero. Federico II si meritò l'appellativo di re
bomba per aver ferocemente bombardato la città dalla
Cittadella (dal suo stesso porto) e dalle navi nel canale
che da Reggio -Messina arriva sino a Capo Peloro lungo 24
kilometri.
Questa
rivolta del 1° Settembre 1847 diede a Messina il primato
della prima rivolta, ma anche una lezione di comportamento
per il futuro: mai fare in pochi quello che si deve fare in
molti.
Per la
lapide commemorativa del 1° Settembre 1847 che si trova a
Piazza Duomo a Messina, è certamente singolare come il luogo
di uno dei pochi monumenti rimasti sia usato come spazio per
la BUCA DELLE LETTERE dalle Poste Italiane e la stessa
lapide sia coperta da due grossi cavi (ENEL, TELECOM ?). Per
non dire della "futuristica" postazione telefonica collocata
a pochi metri dalla buca e del bidone della spazzatura che
fa da guardia al bell'arredo urbano monumentale.
Queste
piccole immagini, scattate il 1° Settembre 2005, si nota
che qualcuno ha collocato una bandierina della Sicilia e due
fiori giallo-rossi a ricordo di quel giorno che precedette
l'anno in cui si proclamò la Repubblica Siciliana con un
Parlamento Siciliano ed un presidente della Repubblica:
Ruggero Settimo.
Rosario Baeli