L'accusa: centinaia di miliardi a imprenditori mafiosi
Sicilcassa, CdA nel mirino
Gli amministratori sarebbero indagati per riciclaggiodi Tiziana Lenzo
Palermo L'accusa è quella di avere erogato crediti per centinaia di miliardi ad imprenditori mafiosi. Mutui fondiari per centinaia di miliardi destinati all'edilizia residenziale. Sotto osservazione soprattutto le somme concesse agli imprenditori Gianni Lena e Vincenzo Piazza. Per questo ex dirigenti della Sicilcassa sono indagati, a vario titolo, dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio. Fra i 34 indiziati di reato nel procedimento 006363/95, al numero cinque è iscritto un "ignoti". Stando alle indiscrezioni circolate nei corridoi del Palazzo di giustizia, si tratterebbe dei componenti del Consiglio di amministrazione della Sicilcassa, indagati non per il concorso esterno in associazione mafiosa, ma solo per i reati di riciclaggio, abuso d'ufficio, false comunicazioni, violazione delle norme in materia bancaria e creditizia.Tra loro figurerebbe anche Francesco Sturzo, padre di Gaspare, sostituto procuratore della Dda palermitana. Francesco Sturzo - il cui nome compare anche nell'elenco degli iscritti alla Loggia P2 e il cui giuramento alla massoneria è pubblicato negli atti della Commissione parlamentare Anselmi (1982) - insieme con Giovanni Ferraro, ex presidente della banca, Pompeo Oliva, ex vice presidente, Agostino Mulè e Pasquale Salamone, ex direttori generali, e gli ex amministratori e sindaci Giovanni Lapis, Calogero Troina, Domenico Bacchi, Marcello Orlando, Giuseppe Viola, Giuseppe Adonia, Domenico Cangialosi, Giuseppe Luparelli, Ferdinando Mannino, e Francesco Mormino, sono destinatari di un provvedimento di sequestro di beni per 15 miliardi recentemente confermato dalla Corte di Appello. Per il liquidatori della Sicilcassa sarebbero, infatti, responsabili del dissesto economico della banca, di quel crack generato da un danno di circa 1.650 miliardi.«I crediti, somme a qualunque titolo e in virtù di qualsiasi rapporto detenute, titoli di qualsiasi specie, valori mobiliari di qualunque genere, ivi compresi eventuali valori che fossero custoditi in cassette di sicurezza, tutte le somme corrisposte anche periodicamente e per qualsiasi titolo o ragione dovute dalla Sicilcassa Spa a titolo di stipendio, pensione, assegno vitalizio, emolumento, corrispettivo per rapporto di lavoro e prestazioni professionali con i relativi accessori». È quando si legge in una nota della direzione Contenzioso del Banco di Sicilia, che cura la procedura del sequestro cautelativo. Ma nel documento del Bds viene pure precisato che «È oggetto del sequestro anche quello che via via eventualmente affluisce fino alla data dell'udienza prevista per la dichiarazione di terzo e per gli importi relativi ad emolumenti pensionistici retribuitivi che venissero accreditati in conto sulla base di disposizioni da parte dei clienti».L'azione giudiziaria di responsabilità è comunque simbolica, in quanto l'eccessivo onere delle imposte ha indotto i liquidatori a chiedere un risarcimento inferiore al danno presunto.La nuova inchiesta dei pm Biagio Insacco e Mauro Terranuova, è un proseguio di quella avviata nel '93 sui canali bancari di Cosa Nostra e scaturita dalle denunce di un sindacalista della Fisac-Cgil, Enzo Carfì.
Indagati gli ex vertici della banca siciliana costata
migliaia di miliardi alla collettività
Sicilcassa alla resa dei conti
Le accuse: concorso in associazione mafiosa e riciclaggiodi Fabrizio Di Ferdinando
PALERMO
Sono venuti finalmente al pettine i nodi del crak della ex Cassa di Risparmio della Sicilia, Sicilcasse, l’istituto di credito confluito nel Banco di Sicilia nel novembre ’97 dopo aver accumulato in un solo anno un passivo di 110 miliardi, dovuto a "sofferenze", ossia crediti inesigibili per 6.800 miliardi. Che tali erano perché concessi in buona parte a personaggi in odore di mafia, un centinaio di imprenditori che hanno avuto a che fare in passato con la giustizia, e che non hanno restituito i prestiti ricevuti, anche perché buona parte di loro è finita nel frattempo in galera. Fulgido esempio di finanza alla siciliana, con prestiti basati non sulla solvibilità dei clienti, ma sulla loro vicinanza a padrinati politici o mafiosi, e spesso le due cose coincidevano. Dopo tre anni di indagini e il sequestro di centinaia di fascicoli prelevati dalla sede di Palermo e finiti sotto la lente dei magistrati dell’Antimafia, avvisi di garanzia sono partiti nei confronti dell’ex presidente del Consiglio di amministrazione Giovanni Ferraro, gli ex direttori generali Agostino Mulé e Pasquale Salamone, l’ex direttore della sede di Palermo, Lucio di Piazza, e altri 23 funzionari di minor grado. Tra gli indagati figurano anche gli ex dirigenti dell’Ufficio Contenzioso - quello incaricato di recuperare i crediti - Emanuele Benedetto, Gabriele Bonanno e Giuseppe La Corte, all’epoca responsabile del Credito fondiario. Un capitolo a parte, nel libro degli indagati, è riservato a personaggi ancora ignoti, per i quali si ipotizzano i reati di abuso d’ufficio, false comunicazioni sociali e violazione delle leggi bancarie. L’accusa per tutti è di concorso esterno in associazione mafiosa, e per alcuni anche di riciclaggio. I filoni di indagini dunque sono due: da un lato i magistrati dell’antimafia stanno indagando per capire se i vertici di Sicilcassa abbiano finanziato per anni Cosa Nostra attraverso le aziende dei "picciotti". Aziende che potevano essere reali o di paravento, ma che comunque, è l’ipotesi, avevano la funzione di procurare fondi ai fiancheggiatori della mafia, fondi che potevano andare a beneficiare i singoli o confluire nelle casse dell’organizzazione. Dall’altro devono verificare se la banca abbia svolto anche una funzione di "lavaggio" del denaro proveniente da attività criminose. Qualche miliardo, alla Sicilcassa nei primi anno ’90 non si negava a nessuno, anni ed anni di finanza allegra e prestiti a mani bucate a personaggi "chiacchierati" come i Piazza i Rappa, gli Ienna, i Finocchiaro, i Graci, i Costanzo, i Rendo. Ma la banca nonostante tutto teneva perché abbarbicata al potere democristiano e consociativo - i posti nell’istituto venivano distribuiti con il bilancino a tutti partiti, in una sorta di manuale Cencelli bancario - che la faceva da padrone nell’isola. Ma la crisi comincia quando, nel 1992 scoppia Tangentopoli e frana la Dc, travolgendo nel suo crollo tutti coloro che vi erano aggrappati.