Il 'modello Catania' è figlio di un marketing territoriale
degno degli ingravidabalconi di Brancati, sebbene gli si deve
riconoscere il 'merito' di aver seppellito il mito del posto
fisso allo stipendificio e indicato l'orizzonte del Mondo a
chi non alzava lo sguardo dal lucido delle proprie scarpe.
Da quanti secoli a Catania non si costruisce nulla di bello '
La 'Catania da bere', città sperta che dovrebbe accogliere
milioni di turisti spendaccioni sbarcati dal cielo e dal mare,
galleggia invece solo sul genio dei morti: Vaccarini, Ittar,
Biscari... e quant'altri, pazienti scalpellini e sapienti
muratori, la ricostruirono, sulle macerie del terremoto del
1693, nella
luce di un barocco metafisico espressione di una idea di
Bellezza che avvicinava tutti a Dio quanto lo smog e l'incultura
di oggi ci sprofondano verso il Demonio. Qualcuno si è seduto
sulle spalle di questi giganti ma era e resta un nano,
incapace di 'nominare' l'Avvenire di questa città senza
rincorrere -o far finta di rincorrere- miti esotici con palme
di banano e quant'altro.
Il dinamismo 'a sprazzi' che stavolta trova sbocco nell'apertura
di alberghi, ristoranti, pub...è privo di forza mentale
propria, nasce dal marketing territoriale, non da idee
radicate, e si risolve nel franchaising, non nella crescita
civile. All'inizio degli anni novanta la giovane borghesia
catanese, che conosce Londra e New York meglio di Picanello e
degli Angeli Custodi, inventava la movida, apriva centinaia di
locali, offriva un alibi al 'nuovismo' in politica che, mentre
umiliava il popolo catanese proibendo ai devoti l'accensione
dei ceri votivi (solo 'Terra e LiberAzione' e il Circolo Sant'Agata
dissero 'No!' ai proibizionisti), inventava il mito borghese
della 'Catania da bere' con tanto di certificato Kpmg.
Ma, come disse a suo tempo don Nitto Santapaola: 'niente dura
per sempre', i cicli si susseguono, la giovane borghesia è
cresciuta, sta occupando i posti che le spettano in quelle che
restano le professioni più gettonate: medico e avvocato,
guarda caso due 'mestieri' legati ad altrettante disgrazie: la
malattia e la lite, come scriveva un secolo fa, mi pare,
Giustino Fortunato.
Catania resta comunque il centro economico più importante
della Sicilia, ed è qui che il paradosso siciliano presenta
il conto più amaro. Il paradosso di un'Isola-Nazione e di un
Popolo sradicato dalla Storia attraverso uno Spettacolo
neocoloniale che a Catania mette in scena, meglio che altrove,
il suo 'delitto perfetto'.
Il paradosso di un'Isola-Nazione saccheggiata e colonizzata
fino all'automutilazione culturale, allo sbiancamento della
sua identità mediterranea.
Negli anni sessanta questa città sventrava se stessa nel boom
di una edilizia che la 'modernizzava' con 'larghezza di vedute':
parole dell'on. Macrì, sindaco della 'Milano del Sud'.
Quando, negli anni ottanta, dagli scantinati di pietra lavica
uscirono 4 band rock non si perse tempo a ribattezzarla la 'Seattle
d'Europa', ma la lezione del suo profeta, Chicco Virlinzi, è
stata fatta cadere nel vuoto, allungando la lista delle
occasioni perdute: ma come si fa, oggi, a parlare di 'politiche
culturali'?!. Intanto, straviati un bel po di eurodanari sul
litorale della Playa, terre antichissime del mito abitate da
invisibili Ninfe e visibilissimi fenicotteri, angeli della
Terra che ricollegano Catania all'Araba Fenice, nel suo
destino di 'città che risorge dalle proprie ceneri'...ti
vanno a inventare 'Catania come Copacabana'.
Da quanti secoli a Catania non si costruisce nulla di bello?
@ Mario Di Mauro, direttore del sito www.terraeliberazione.org.
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