la controversia: |
a chi spettano i vespri siciliani
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«Chi l'avrebbe mai
detto!», esclama il vecchissimo Amari, soprassaltando a un messaggio
che mano ignota gli recapita nel suo segretissimo domicilio. Da quel
messaggio, l'antico storico, narratore insuperato del Vespro siciliano,
intanto apprende che, nonostante le sue proteste, ancora, a distanza di
un secolo e rotti da quando ebbe a pubblicare il suo aureo libretto, ci
si ostina a parlare di Vespri siciliani, alla francese - per ironia
della sorte o per compensazione del senso di colpa che ci fa
immedesimare con le proprie vittime? - e non di vespro come è italico e
corretto che sia. Dopo aver fieramente aggrottato le folte ciglia
imbiancate, subito addomestica l'istinto che gli vorrebbe fare
appallottolare il messaggio scagliandolo sui Campi Elisi, perchè,
allungando lo sguardo, s'accorge che nel resto del messaggio si parla di
Vespro al singolare. E così con animo ben disposto s'accinge a leggerlo e via via che legge la fronte gli si spiana, le gote gli si allisciano, e tutto il viso si va atteggiando dapprima ad un leggero sorriso di sorpresa, per poi esplodere in una risata omerica accompagnata dalla riflessione parlata: ma bravi! Chi l'avrebbe mai detto! «Chi l'avrebbe detto, cosa?», gli chiede un suo vecchio amico pittore richiamato dalla risata dello storico e subitamente scivolato nell'ampio studio foderato di libri. Amari compiaciuto gli spiega: chi l'avrebbe mai detto che a distanza di 720 anni i messinesi volessero appropriarsi del Vespro lamentandosi, per giunta, e ride sino alle lacrime, che quando si parla di Vespro si parla solo di Palermo e non di Messina. Nel messaggio che ho ricevuto - riferisce sempre più infervorato l'Amari - si dice che la vera resistenza a Carlo la si mise in atto a Messina e che è Messina assediata da giugno a settembre e da 15 mila cavalieri e 200 navi da guerra, la capitale della resistenza antiangioina. Quale Palermo e Palermo! «Bisogna rivalutare - legge l'Amari - il ruolo fondamentale di Messina con la sua strenua resistenza contro il più grande esercito mai messo insieme, neanche per le crociate». Ma pensa tu - commenta Amari all'amico pittore - che proprio da Messina Erberto d'Orléans fece salpare contro Palermo sette galee, mentre le ciurme, al porto, gridavano le lodi di re Carlo con tante minacce contro i ribelli. È solo alla fine di aprile, mentre la rivolta a Palermo era divampata il 31 marzo, che Messina si schiera con i rivoltosi. È vero, resistette Messina. Ma fu Palermo a innescare la miccia. Ebbene per celebrare questo nuovo protagonismo a quanto pare - commenta Amari - è stato commissionato un grande quadro a un giovane pittore nativo di Buenos Aires, ma di padre siciliano e di madre francobasca, ora esposto in un ristorante. Qui Amari chiede al suo interlocutore esperto in grandi tele che ne pensasse di questa idea di esporre una tela, con un soggetto così drammatico, in un ristorante. Ma né lui né l'altro si sanno dare una risposta adeguata. Riandarono allora i due vecchi a quegli eventi lontani cosi ben vividamente descritti dall'Amari e rifletterono alquanto sulla furia omicida che li dominò. Recita Amari: «Andava alla chiesa una giovane avvenente di aspetto signorile, co' i suoi parenti, con lo sposo. Droetto, famigliare del giustiziere, le si fa incontro per cercare armi; le caccia la mano in petto: secondo Niccolò Speciale l'insulto fu più sconcio». E Amari lanciò all'amico un sornione sguardo d'intesa. Quindi riprese a recitare: «A tal'oltraggio la donna stette per cascare svenuta; la sostenne lo sposo, e in un batter d'occhio un giovinotto, strappata la spada dal fianco a Droetto, gliel'immerge nel ventre. Gli astanti urlarono: "Muoiano i francesi" e il grido come voce di Dio, dice uno scritto d'allora, tuonò per tutta la campagna. Con sassi, coltelli, bastoni si gittano addosso ai francesi». Il Vespro fu una carneficina. «Corsero in città i sollevati, gridando sempre "Muoiano i francesi", muoiano i tartaglioni e quanti ne vedeano li metteano a morte. La tradizione porta che nel dubbio s'alcuno fosse straniero lo si sforza a dir ciciri; e chi falliva nella pronuncia era spacciato». E qui i due vecchi furono presi dal cinismo panormita e incominciarono a pensare che in fondo i ceci, ma soprattutto i loro produttori, potevano vantare una sorta di esclusiva sul Vespro. Quale Messina e Messina! E che bello sarebbe stato organizzare una Sagra dei ceci a sfondo storico: proponendosi il pittore come autore di una grande tela magicorealista: una vanitas storica incentrata sui ceci. Ma quale Messina e Messina! Presi dal nero buon umore, non raro tra panormiti, pensarono che la Confraternita dei ceci in attesa della sagra intanto avrebbe dovuto partecipare in massa alla messa funebre che nel luogo dell'eccidio di 720 anni addietro si celebra oggi per onorare quelle vittime. Non si capisce - si chiede Amari - se la Messa palermitana sia un ricordo spontaneo o una risposta politica alla rivendicazione messinese. «Certo. Tutto può essere», gli rispose l'amico. S'era fatto mezzogiorno, i due vecchi scesero sui Campi Elisi. Incontrarono un musicista ad Amari caro, anche se aveva preferito musicare i Vespri alla francese. Lo salutò con devozione e lì all'aperto insieme al pittore, che si era tolto il gran cappello, intonò la grande aria "Oh tu Palermo". Un po' per orgoglio, un po' per nostalgia e forse un po' per far dispetto ai messinesi. Piero Violante |